L’idea di una nuova vita
all’estero alimenta le nostre fantasie mammano che sentiamo o leggiamo di posti
lontani che offrono dei veri paradisi alle nuove generazioni e non solo, visto
che oramai ci sono parecchi pensionati propensi a migrare verso lidi più caldi
e diciamolo pure fiscalmente "accoglienti".
Questa mobilità mondiale
sembra contagiosa, parliamo ovviamente di gente che decide di trasferirsi per
scelta e non per necessità.
Si va via per un futuro
migliore, certo, ma quanti davvero rimangono all'estero e quanti rientrano? Ma
soprattutto perché si decide di rientrare?
Anzitutto iniziamo con il
mito della vita all'estero. Opportunità di lavoro e studio rendono questo sogno
più vicino di quanto non lo fosse qualche decennio fa. Le aspettative sono spesso
molto alte e purtroppo si scontrano poi con la realtà dei fatti. Se il primo periodo è definito quello della "luna di
miele", dove tutto è meglio rispetto casa (anche il cibo!!) poi ci si
scontra con la dura realtà, dove si prende coscienza delle proprie differenze
ed è in questa fase che prende corpo la consapevolezza che bisogna adattarsi
alla nuova vita fatta di quotidianità. Purtroppo la mancanza d’informazione gioca un ruolo cruciale,
spesso ci affidiamo alla sorte, e forse una buona dose d’incoscienza aiuta, ma
bisogna conoscere le leggi del paese ospitante, o meglio tutti quegli aspetti
burocratici, sanitari e previdenziali che bisogna affrontare. Inoltre, la
conoscenza della lingua e della cultura non sono fattori da sottovalutare.
La mia generazione è
cresciuta nel mito dell'America, alimentato da quello spettacolo a stelle e
strisce che solo gli Americani sono maestri nel creare. L'industria televisiva
e cinematografica ha propinato per anni valori nei quali tutti ci siamo riconosciuti:
partendo dalla famiglia come valore assoluto, passando poi per il duro lavoro,
creando e rinforzando il mito americano. Siamo cresciuti a pane e
telefilm come Happy Days e La Casa nella Prateria (sì, sì
ammettetelo che anche voi lo guardavate!!) e tutti abbiamo desiderato,
chi più chi meno, di far parte di quel mondo. Ma l'illusione cinematografica
finisce qui, queste vetrine del modello americano sono auto-celebrative,
relegando lo spettatore non-americano a unico ruolo, ovvero quello del passante
che rimane fuori a guardare ammirato e incuriosito.
Nella realtà dei fatti, per
entrare negli USA bisogna ottenere un visto d'ingresso, ma non illudetevi di
essere a posto una volta ottenuto lo stampo sul passaporto. I visti sono
temporanei e hanno parecchie limitazioni, che nel caso di mogli a seguito dei
mariti, sono ancor più restrittivi rendendo la vita di queste ultime ancor più
isolata e difficile. Infatti, i visti come F2 e H4 non consentono
alla moglie di cercare lavoro. Insomma, la donna diviene a tutti gli effetti, un
fardello che non può realizzarsi professionalmente: un angelo del focolare
nell'immaginario delle politiche d'immigrazione americana che fa a pugni con
gli ideali che l'America sostiene di difendere. Anche per i detentori di un
visto H1B, il sogno americano si realizza in parte. Infatti, anche se vi
permette di lavorare e magari il vostro lavoro vi piace molto e non avete
nessuna intenzione di cambiare, questo visto non vi permette di farlo (a patto che non
si trovi un altro datore disposto a sborsare tanti dollari per pagarvi questo
visto).
Dagli anni in cui gli USA
erano il sogno per tanti, ora si preferiscono altre mete come l'Australia, che, complice una politica d'immigrazione più lungimirante rispetto ad altri Paesi, riesce ad attrarre molti giovani. Infatti, le politiche miopi di molti Paesi,
USA in primis, in fatto d’immigrazione, allontanano personale qualificato che
invece ha tutto l'interesse ad integrarsi nelle nuove realtà. Persone
volenterose, istruite ai massimi livelli, hanno difficoltà a trovare sbocchi di
lavoro per via di visti di lavoro/studio che scoraggiano i potenziali datori di
lavoro a reclutare manodopera specializzata. Ma non solo, l'inefficienza dell'apparato
burocratico nell'ambito della politica d'immigrazione non riesce a dare una mano
concreta ad una vera propulsione economica.
Basti pensare all'appello lanciato da molti CEOs di aziende importanti al
Presidente Obama per intervenire in questa questione che allontana persone altamente
qualificate. Un paradosso per un Paese fondato sull’immigrazione di massa!
Risultato? I Paesi emergenti come Cina,
India, Brasile ma tanti altri ancora, ringraziano: i loro talenti, emigrati per
studiare e fare esperienza all'estero, delusi da un Paese che non ha più molto da offrire, ora ritornano in Patria pronti e
motivati per investirvi le loro competenze culturali e professionali. Forse poi
non è proprio così male!
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